La carta da gran signori che piaceva a Guttuso

A inventare la carta fu un cinese: un ingegnoso eunuco di nome Ts’ai Lun, colto dignitario di corte della dinastia Han. Fu a lui che venne l’idea, testimonia un documento del 105, di «impiegare scorze d’albero, detriti di canapa, vecchi stracci e reti da pesca per fare la carta». Il primato di aver sviluppato filigrane pregiatissime in Italia spetta invece ad Amalfi. Carta straccia, carta genovescha , carta bambace, carta di Napoli e carta bianchetta: nel XIII secolo nella valle dei Mulini è un gran produrre di fogli morbidi come il cotone e trasparenti come la pergamena, impastati con l’acqua dei mulini, almeno venti nel ’600. Poi fu il tramonto: difficile competere con i costi della produzione meccanizzata; impossibile smerciare da una valle difficile da raggiungere, lontana dai reticoli viari e ferroviari. L’ultimo colpo dell’industria cartaria fu inferto dall’alluvione del novembre 1954, cui sopravvissero pochissimi impianti.
Nella valle dei Mulini, a ponte sul fiume Canneto da oltre 500 anni, è però sopravvissuta la cartiera Amatruda, capitanata, fino al ’79, da Luigi Amatruda, cartaio da sette generazioni. A lui, dopo il periodo di crisi tra gli anni Venti e gli anni Cinquanta, si deve il ritorno alla produzione della carta «forma in tondo», fatta foglio per foglio, con i bordi intonsi, mai tagliati. Senza di lui, la vera, pregiata, carta d’Amalfi sarebbe rimasta solo nella memoria degli anziani. Oggi tocca alle figlie Teresa e Antonietta continuare il lavoro di papà Luigi, difendendo la carta d’Amalfi dalle imitazioni, al punto che da qualche anno il marchio è contraddistinto dal cognome Amatruda. «Dopo tanti secoli — spiega Antonietta — il processo di lavorazione a mano Amatruda è quasi immutato. Anticamente si usavano gli stracci di lino e di cotone, i più pregiati, oppure di canapa; oggi la cellulosa di pioppo e di acero, oppure quella di cotone ricavata dai linters di cotone, la parte che avvolge il seme dopo la raccolta del fiocco. Per il resto, non è cambiato praticamente nulla: la materia prima viene spappolata, cioè unita all’acqua, e passata nella pila olandese, un macchinario dell’Ottocento composto da un rotore e da una piattina, le lame che servono per tagliare le fibre e ridurle in poltiglia. Poi vengono calate le forme, che hanno la bordura in legno e la filigrana nel mezzo, per impregnarle di impasto. Una volta sgocciolata l’acqua, ogni foglio viene trasferito su un feltro di lana e messo sotto pressa per eliminare l’acqua superflua. Staccati uno per uno dai feltri, i fogli vengono infine passati all’asciugatura ad aria».
Alla cartiera Amatruda, sopra il centro storico di Amalfi, tutto sembra rimasto come un tempo: al primo piano si fabbrica la carta, al secondo si stocca. Il capriccio del filo d’acqua in margine fa sì che un foglio non sia mai uguale a un altro; la qualità dell’impasto e il disegno della trama impresso dal traliccio conferiscono a ogni foglio una personalità unica. «Il nostro — sottolinea Antonietta — è un prodotto di nicchia; va avanti solo se di qualità. Artisti ed editori celebri hanno scelto la nostra carta, come Renato Guttuso e l’editore Mardesteig, tipografo di Gabriele D’Annunzio. Ma produciamo anche album da disegno e acquerello, biglietti da visita, carta da lettera e partecipazioni. Per noi, ogni momento, deve essere unico».

scritto da Carlotta Lombardo

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