Il processo di lavorazione storico

Il processo di fabbricazione della ”carta a mano” di Amalfi consisteva nelle seguenti fasi. Innanzitutto la materia prima era costituita dai cenci, in genere panni di cotone, lino o canapa, che venivano raccolti in apposite vasche di pietra, denominate pile. La loro notevole presenza lasciò imperituri segni nella toponomastica; infatti la via porticata parallela alla Ruga Nova, l’arteria principale del centro urbano di Amalfi realizzata a seguito della copertura del fiume, recava l’appellativo di Li Pili, toponimo tuttora esistente, d’altronde, anche nella vicina Atrani. Gli stracci di stoffa raccolti nelle pile erano quindi triturati e ridotti in forma di poltiglia mediante una serie di magli di legno, alla cui estremità erano sistemati alcune decine di chiodi in ferro, prodotti nella ferriera e negli opifici di Pogerola. La forma e le dimensioni di questi chiodi determinavano la consistenza della poltiglia e quindi, la grammatura o spessore dei fogli di carta. Il movimento dei magli era generato dalla forza dell’acqua che, precipitando su di una ruota a contropeso (rotone) , metteva in azione un albero di trasmissione, detto fuso. Una volta preparata, la poltiglia veniva raccolta in un tino in muratura, insieme ad un certo quantitativo di colla, ottenuto utilizzando pelli di animali (carniccia), che si produceva nella caldaia. Nel tino poi si calava la forma, che aveva la bordura in legno (cassio) e la filigrana nel mezzo, composta a sua volta di una fitta rete di fili di bronzo o di ottone.

La filigrana conteneva pure i marchi di fabbrica, che servivano per contraddistinguere non solo i cartari ma anche il tipo particolare di carta prodotta. Ancora oggi si conservano vari esempi di antiche filigrane, tra cui è giusto segnalare quelle raffiguranti l’emblema di Amalfi, l’ancora, l’angelo, stemmi di famiglie nobili amalfitane, stemmi reali angioini.

La poltiglia, quindi, si attaccava alla forma ed era poi trasferita su appositi panni di feltro. Si realizzava, in tal modo, una catasta di fogli di carta molto umidi, a cui si alternavano altrettanti feltri. La catasta era quindi pressata da un torchio di legno, che determinava la fuoriuscita dell’acqua. Successivamente i fogli di carta venivano staccati uno per uno dai feltri e portati nello spandituro per l’asciugamento definitivo a mezzo di correnti d’aria. Per questo motivo gli spandituri erano costruiti nella parte piu’ alta della cartiera.

Una volta che la carta era asciutta i fogli erano raccolti e portati nell’allisciaturo. Qui avveniva l’allestimento, che consisteva in una selezione accurata della carta più pregiata, mentre quella di seconda scelta veniva lisciata con il palmo della mano e piegata con un macchinario detto piegatore. In ultimo i fogli erano collazionati in pacchi. Le principali qualità di carta delle cartiere amalfitane erano la carta straccia, la carta genovescha, la carta bambace, la carta di Napoli, la carta piccola, la carta bianchetta.

Al processo di fabbricazione soprintendeva un magister in arte cartarum.

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